31 ottobre 2006

Modelli di business

Dispensa


Tre distinte fonti di finanziamento caratterizzano la scena dell'offerta TV: il canone corrisposto e tipicamente a vantaggio del servizio pubblico radiotelevisivo; l'abbonamento ad un servizio privato di TV a pagamento (e fin qui sono gli utenti a sborsare); e infine la pubblicità (e qui sono invece gli inserzionisti a pagare). Sul mercato in molti casi questi modelli di business sono applicati in modo puro ed esclusivo: ad esempio le TV commerciali di tutto il mondo finanziano la propria offerta gratuita agli utenti attraverso la pubblicità; la BBC vive di solo canone e non raccoglie un solo pound di pubblicità; Disney Channel si finanzia solo con la sottoscrizione degli spettatori: non percepisce ovviamente canone e, per scelta storica, non ospita pubblicità. Altre volte però, e sempre più spesso, troviamo applicazioni eccentriche dei modelli (ad esempio il servizio pubblico spagnolo non percepisce canone e si finanzia solo con la pubblicità; per l'accesso alla TV via cavo in Germania si paga una quota delle spese condominiali: un abbonamento pay reso inevitabile quanto è più di una tassa!); o applicazioni temporanee (ad esempio, il canale inglese Film Four, dopo anni di vita a pagamento ha deciso quest'anno di diventare un canale free, finanziato dalla pubblicità); o applicazioni ibride (sappiamo bene che la RAI vive sia di canone che di pubblicità, ma anche quasi tutte le pay del mondo non disdegnano affatto questa fonte di introito). Storicamente, comunque, questi modelli di business hanno dato vita a due grandi configurazioni d'offerta televisiva, che hanno dominato la scena negli ultimi 15 anni: da una parte, l'offerta gratuita: pochi canali generalisti, finanziati dalla pubblicità e dal canone. dall'altra parte, l'offerta pay a subscription: centinaia di canali, aggregati da un operatore che governa l'intera filiera del servizio (decoder, billing e fatturazione, packaging editoriale, marketing,...). Questi canali pay vivono in parte del fee che l'operatore riconosce loro per stare nel bouquet - e dunque entro i perimetri dell'offerta a pagamento - e in parte dei ricavi pubblicitari, che iniziano solo oggi a contribuire significativamente al loro conto economico. L'offerta pay a subscription può arricchirsi di contenuti ulteriori, accessibili a richiesta (la pay-per-view, il video on demand, i canali à la carte,...). Ma questa flessibilità è consentita solo all'interno di un rapporto contrattuale, l'abbonamento, che comporta un pagamento mensile a fronte della fornitura di un set di contenuti e servizi. Due forme d'offerta quasi antitetiche, dunque. Da una parte, gratis ma poco. Dall'altra, a pagamento e tanto, secondo la formula "all you can eat". Questi due paradigmi hanno, fino ad oggi, rappresentato l'alternativa di base per lo spettatore TV. Di recente pero' si sono affacciati sul mercato numerosi modelli intermedi e alternativi. Vediamo brevemente i più rilevanti. Anzitutto il multichannel free. Si tratta della proposizione di un bouquet di canali gratuiti, numericamente non ricchissimo (30-50 canali, contro i 120-200 canali delle offerte a subscription), ma qualitativamente assai dignitoso. Una sorta di "basic", ma gratuito. E' ad esempio l'offerta di Freeview, la piattaforma digitale terrestre inglese, che sta riscuotendo un enorme successo. Ma anche in Francia, con TNT, e in Italia, con la neonata TIVU', l'offerta di un bouquet gratuito di canali sul digitale terrestre sta funzionando bene. Un secondo modello emergente, specie sul digitale terrestre e sulle offerte IPTV e cavo, è quello dell'offerta di un mini-bouquet a pagamento. La scelta è più limitata rispetto alle opzioni più tradizionali (ad esempio del satellite) ma i canali sono buoni (spesso, gli stessi del satellite) ed le condizioni di accesso sono assai meno onerose (pochi euro al mese, di solito 9-10), e più flessibili ( fino all'acquisto mese per mese). E' il modello cosiddetto "mini-pay" o "pay light". Esempi interessanti sono TopUpTV, sempre in UK, ed anche le recenti offerte lanciate dagli operatori DVBH in Italia. Un terzo modello che finalmente, dopo tanto parlare, comincia a prendere piede è quello del Video On Demand, cioè della proposizione di contenuti video accessibili a richiesta: compro quello che voglio e lo vedo quando e come voglio (sono disponibili tutte le funzioni VCR: pausa, rewind, fast forward,....). Questo modello risponde in modo straordinario alla richiesta di flessibilità e personalizzazione che viene dal mercato. Tuttavia, va detto che ad oggi le offerte VOI) sono disponibili solo "on top" alla subscription per l'accesso a bouquet e ad altri servizi; e questo ne limita molto le potenzialità commerciali. Un quarto modello è costituito dall'offerta di contenuti in regime di pay-per-view puro, cioè libero da qualsiasi vincolo di sottoscrizione. E' il caso di Mediaset Premium e di LA7 Carta più, che offrono l'accesso a contenuti singoli (o volendo a pacchetti), acquistabili con una carta prepagata ricaricabile. Nel caso di LA7 Carta più, la transazione comporta l'obbligo di effettuare una telefonata o di mandare un messaggio; nel caso di Mediaset Premium invece l'utente è ancora più libero: compra con il telecomando senza dover attivare alcuna connessione. Qui l'accesso ai contenuti pregiati, come si diceva, è diretto e non prevede alcun abbonamento. Un quinto modello emergente, poi, è quello dell'offerta di contenuti (di flusso 0 spacchettati) in modalità free su portali web a cui si può accedere per vedere ciò che è in onda e soprattutto per recuperare i programmi TV che si sono persi. Molti content provider e broadcaster stanno organizzando un'offerta di contenuti free su video portali web (BBC, NBC, ITV,..), alcuni dei quali fondati sull'architettura distributiva peer-topeer. Un sesto modello, infine, è quello del triple play, in cui si assommano servizi voce, connettività broadband e video su IP. In questo caso i contenuti TV non sono accessibili se non in "bundling" con altri servizi. La possibilità di personalizzare il menù di visione è qui assai spinta (in certi casi, si può comprare il proprio del bouquet scegliendo da una lista ampia di canali) ma la flessibilità è consentita solo all'interno del rapporto vincolante di subscription, con elevati costi di ingresso (da 260/€ anno a 550/€ anno, in Italia) e di uscita. Questo modello, nato su piattaforme IP fisse (in Italia con Fastweb e Alice Home TV di Telecom) è ora sostanzialmente praticato anche su piattaforme mobili, grazie all'offerta su terminali ibridi DVBH/UMTS. I sei modelli citati non esauriscono ovviamente lo spettro delle soluzioni di business possibili: già oggi registriamo molte altre forme di offerta promiscue, frutto della combinazione o della contaminazione delle modalità più tradizionali (push-vod, subscription vod, free-vod, quadruple play, pod-casting, download-to-own,.... ). Ciò che mi preme segnalare qui è proprio il forte dinamismo commerciale che sta animando il comparto dell'offerta di contenuti TV. Un fermento che sta spingendo i ricavi da spesa diretta dell'utente a superare - su base media europea - i ricavi da canone. Una seconda cosa, importante, va annotata. Non sempre l'articolazione dell'offerta televisiva sui vari mercati segue il principio della corrispondenza fra valore del contenuto proposto e prezzo d'accesso. Ogni mercato ha una storia ed una logica a sé. Gli inglesi ad esempio, hanno un'idea ben precisa di quale differenza ci sia tra una casa in South Kensington e un alloggio nei suburbs di Londra, tra un blue-collar e un whitecollar, e anche, tra l'offerta BSkyB e quella della TV analogica terrestre. Sarà perché commerciano per mare da secoli... ma la nozione di value for money è in loro ben radicata. E così è facile rintracciare un rapporto quasi lineare, nel loro sistema d'offerta televisiva, tra la qualità/valore percepito dei contenuti e il denaro necessario per accedervi. La proverbiale qualità della BBC (che per gli inglesi comprende a pieno titolo la trasmissione di dards e boccette), l'esplosione continua dell'offerta di Freeview, e la crisi recente dell'operatore pay Top Up TV (che pare riassorbito all'interno dei piani di espansione sul DTT di Channel 5) non cambiano la diagnosi del fenomeno: in UK se vuoi contenuti premium devi pagare (con le uniche eccezioni di Olimpiadi, Mondiali di calcio, due partite di Champions League e Formula 1). Più paghi, più hanno valore i contenuti a cui hai accesso. Su questo continuum progressivo si declinano l'offerta free analogica, quella digitale terrestre di Freeview, l'opzione pay-light, l'offerta basic e quella premium di Sky e degli operatori cavo. In Italia, invece, la situazione e assai più fluida e confusa. La ricchezza della nostra offerta in chiaro non ha paragoni nel resto d'Europa. Anzitutto, sotto il profilo quantitativo: abbiamo più canali free nazionali (non considero quindi le oltre 500 TV locali!) e dunque più ore di programmazione gratuita: da un 30% in più rispetto ad UK, ma anche a Francia e Spagna, a145% in più rispetto alla Germania. Ma anche il peso e la qualità dell'offerta italiana in chiaro sono ben diverse da quelle degli altri paesi : + 30% di film rispetto ad UK (100% in più rispetto a Spagna e Germania, e addirittura + 300% rispetto alla Francia); + 100% di fiction (serie, miniserie, soap,....) rispetto a tutti nota (citare rapporto di ricerca E-Media). In questo contesto, la Pay TV ha sempre fatto fatica ad imporsi come fenomeno di massa: a parte il calcio in diretta (campionato e coppe) e qualche sport definito" minore" (tennis, basket, volley....), tutti gli altri contenuti non godono di esclusiva per il mondo pay, ma solo di una finestra di sfruttamento anticipata (12 mesi il cinema, 6 mesi circa le serie,...). Per contro, la disponibilità a pagare per vedere la TV non fa parte della cultura del nostro paese (a partire dal canone della RAI!) e l'offerta "all you can eat" a fronte di abbonamenti abbastanza onerosi (per Sky si va da un minimo di 288 €/anno a 660 €/anno) non aiuta a superare le resistenze. L'introduzione della pay-per-view con tessere ricaricabili ha, come si dice, "sparigliato" le carte, ponendosi come offerta di contenuti pregiati - il calcio in diretta e il cinema nelle medesime windows di Sky - a basso costo di ingresso e a basso impatto psicologico e "ambientale" (le negoziazioni familiari sono assai meno problematiche). Ma ancora le dimensioni del fenomeno "paghi quello che vedi" non autorizzano a parlar di mercato di massa. L'introduzione possibile di modelli "pay-light", come detto, sulla scorta della controversa ma interessante esperienza di Top Up TV, potrebbe articolare ulteriormente il ventaglio delle opzioni, rendendo ancora più arduo rintracciare una correlazione tra valore percepito dei contenuti e disponibilità a pagare per riceverli. Il quadro è ulteriormente complicato dall'affacciarsi dal triple-play su rete fissa e della Mobile TV. Il triple-play, come detto, consiste nell'offerta integrata di voce, internet broadband e contenuti audiovisivi da parte delle compagnie telefoniche. Un'unica bolletta abbraccia tutti i servizi di connettività dell'utente, grazie alla convergenza di voce, dati e contenuti A/V sul protocollo IP. Oggi sembra difficile intravedere un business incrementale nella fornitura di contenuti TV sul doppino telefonico: più che una reale opportunità di ricavi, a muovere le telco verso il triple-play è la necessità di fermare l'emorragia dei ricavi da telefonia fissa e dunque di riqualificare la connessione il wired". Ma da questa necessità possono scaturire scenari nuovi e imprevedibili: come potrà essere la TV una volta distribuita su una piattaforma realmente interattiva? Quanto si affermerà il consumo di contenuti on demand, svincolati dalla logica della linearità? Che trasformazioni possono subire la progettazione editoriale e il marketing televisivo una volta che il broadcasting incontra il web? Quali modelli di business potranno svilupparsi in questo ambiente? Considerazioni non molto diverse si possono fare per la Mobile TV. Anche qui ci sono scettici che non riescono ad intravedere un business case incrementale per le telco (chi guarderà la TV su un telefonino? E quanto, soprattutto, sarà disposto a pagare per farlo?). Ma ci sono anche visionari che considerano la portabilità (1'indossabilità, direi) della TV un valore di grande potenziale, anche economico, che per potersi manifestare aspetta solo per il giusto equilibrio fra costi e benefici. Value for money, direbbero i nostri amici inglesi.

2 Comments:

Blogger Ilario82 said...

A questa accurata disamina aggiungo un elemento di ulteriore complessità (se mai ce ne fosse bisogno), e cioè la possibilità di interfacciare Iptv e DTT. Durante un recente soggiorno a Parigi ho avuto modo di vedere come una tipica Iptv urbana, Wanadoo, contenesse nel suo mini-bouquet (credo molto economico) una selezione di canali mutuati dal digitale terrestre di TNT. Bastava che al televisore fossero collegati contemporaneamente lo scatolino di Wanadoo (in wireless) e la normale antenna televisiva, per avere accesso, dallo stesso menu di selezione, alle reti televisive via internet e a quelle via etere. Sarà la solita stranezza francese, ma il futuro della comunicazione sembra andare sempre di più verso la convergenza e l'interconnessione totale.
A mio avviso la soluzione migliore (non so quanto praticabile dal punto di vista del mercato) sarebbe avere un unico protocollo di comunicazione per tutto - quello IP di Internet - e una copertura completa del territorio in Wi-Fi (e super Wi-Fi). Lo scoglio maggiore sarebbe quello della telefonia mobile, dove enormi investimenti sembrano invece puntare tutto sul 4G (con reti superveloci come Wibro), evoluzione dell'UMTS. Tuttavia già ora sono in sperimentazione Smart-Phone con instant messaging capaci di utilizzare reti Wi-Fi.

In ogni caso, al di là delle frontiere della tecnica, che forse nemmeno i media lab più accreditati sanno delineare con esattezza, resta aperto il problema spinoso dei contenuti: come far sì che un atteggiamento di fruizione passiva dei media possa trasformarsi in un processo massivo di interattività e multimedialità.

12:37 AM  
Blogger Ilario82 said...

Errata corrige: non è "super Wi-Fi", ma "Wi-Max".

11:19 AM  

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