12 marzo 2007

Scheda per il corso del Prof. Fara

MONTESQUIEU
(1689-1755)


Con Montesquieu l’indagine sulla politica abbandona il naturalismo di Machiavelli.
Nel teorico francese della “moderazione” emerge con forza la consistenza positiva delle tecniche istituzionali attraverso le quali è possibile regolare il funzionamento del potere.
Le tecniche con le quali egli si misura non sono più le arti con cui il principe virtuoso conquista il potere e fonda i nuovi organismi politici. In Montesquieu la componente tecnica della politica suggerisce di precisare i canali istituzionali attraverso i quali garantire le “formalità necessarie” per un prevedibile andamento della macchina decisionale. Non la conquista del potere, dunque, ma il suo funzionamento regolare sono la sua preoccupazione principale. Da qui l’esigenza di fissare procedure e limiti all’esercizio del potere perché nessuna autorità può basare sulla paura l’obbligo politico di ciascuno.
Al centro dell’attenzione di Montesquieu sale perciò il tema nuovo della delimitazione dei poteri e della loro separazione. Il filosofo francese pubblica così, nel 1748, la sua opera più importante e monumentale “Lo spirito delle leggi”, frutto di quattordici anni di lavoro. L’opera venne attaccata da gesuiti e giansenisti e messa all’indice (Indice dei libri proibiti) nel 1751, dopo il giudizio negativo della Sorbona. E’ nel libro XI de “Lo spirito delle leggi” che Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che “il potere assoluto corrompe assolutamente”, l’autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni stato: il potere legislativo, che spetta al parlamento; il potere esecutivo, affidato al governo e il potere giudiziario, assegnato alla magistratura.
La tesi fondamentale – secondo Montesquieu – è che può dirsi libera solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per contrastare tale abuso bisogna far sì che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia. La riunione di questi tre poteri annullerebbe la libertà. L’argomento della libertà è fondamentale per Montesquieu, però questa parola è spesso confusa con altri concetti come quello di indipendenza. Nella democrazia sembra che il popolo possa fare quello che vuole, il potere del popolo è confuso così con la libertà del popolo. La libertà è invece il diritto di fare ciò che le leggi permettono.
Montesquieu, inoltre, cercò di dimostrare come, sotto la diversità degli eventi, la storia abbia un ordine e manifesti l’azione di leggi costanti. Le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario, ma sono costantemente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi e dalla loro religione. Al pari di ogni essere vivente anche gli uomini, e quindi le società, sono sottoposte a regole fondamentali che scaturiscono dall’intreccio stesso delle cose. Queste regole non debbono considerarsi assolute, cioè indipendenti dallo spazio e dal tempo; esse al contrario, variano col mutare delle situazioni, come le diverse specie di società e i vari tipi di governo degli uomini. Questi ultimi per Montesquieu sono tre: la repubblica, la monarchia e il dispotismo. La più alta espressione di libertà per Montesquieu sta nella monarchia costituzionale in cui il filosofo vede contemporaneamente sia le caratteristiche positive del regime monarchico assoluto sia di quello repubblicano.


ELEONORA LIMITI