01 dicembre 2006

Regole

Dispensa

La televisione, al centro di interessi politici, economici e sociali fin dalla sua nascita, è da sempre materia fortemente regolata, in tutti i suoi aspetti sensibili:

- i contenuti: le regole indicano i valori da promuovere (ad esempio, il rispetto dell'altro, l'uguaglianza...) e i dis-valori da censurare (ad esempio, la violenza, la pornografia...); le fasce di pubblico da proteggere rispetto a certi prodotti (i bambini, specie in determinati orari); le proporzioni nel rispetto delle quali privilegiare una certa visione del mondo, (la "corretta informazione", la par condicio, ecc ...)

- la capacità trasmissiva: le regole definiscono chi e a quali condizioni ha diritto ad accedere alla capacità trasmissiva TV; fissano i limiti di tale accesso a seconda delle tecnologie impiegate; stabiliscono quanta parte della tecnologia trasmissiva i titolari debbono mettere a disposizione di altri soggetti, ecc ...

- le risorse economiche e produttive: le regole fissano l'ammontare del canone pubblico, definiscono i limiti giornalieri e orari dell'affollamento pubblicitario, individuano quali forme pubblicitarie siano lecite e a quali condizioni e quali no (ad esempio, vietano la pubblicità dei medicinali o la pubblicità di certi servizi telefonici a numerazione premium); le regole fissano poi il numero massimo di "programmi " (cioè di canali TV) che un singolo editore può gestire e indicano i criteri di "incrocio" tra i vari media, cioè quanti e quali media un singolo editore può possedere oltre alla TV, ecc ....

- i servizi e i contenuti non lineari: le regole distinguono dai contenuti lineari i servizi ad accesso condizionato (ad es. i servizi pay per view) e le offerte non lineari (come il VOD) e stabiliscono per questi ambiti criteri di comportamento e limiti specifici,...

Si potrebbe proseguire a lungo. Praticamente tutto in TV è sottoposto a regole. Tuttavia, anche in questo ambito la digitalizzazione ha lasciato un segno, proprio in virtù delle tre grandi dinamiche che ha attivato all'interno del comparto televisivo: la moltiplicazione dei contenuti, la convergenza di reti e terminali (e dunque la divergenza di contenuti e supporti) e l'esplosione delle forme di offerta a pagamento. Queste tre dinamiche, infatti, hanno creato una nuova tensione su due filiere chiave del settore – la "filiera del diritto" e la "filiera dell'accesso" mettendo in crisi il tradizionale impianto normativo e costringendo il regolatore a trovare nuovi paradigmi. Vediamo meglio.

La filiera del diritto si articola lungo il vettore: autore -> titolare dello sfruttamento economico (editore/distributore/produttore) -> telespettatore.

Ciascun soggetto della filiera ha dei diritti specifici. Per esempio, l'autore ha diritto che gli sia riconosciuta la paternità dell'opera e che quest'ultima non venga violata, manomessa o plagiata. Il distributore ha il diritto di sfruttare economicamente l'opera ("copyright"). Lo spettatore ha il diritto di fruirne nelle migliori condizioni, secondo quanto stabilisce il "contratto" (esplicito o implicito) con l'editore/distributore.

Ora, è evidente che la digitalizzazione ha aggiunto forte tensione ad un equilibrio già instabile. Da una parte, i telespettatori hanno cominciato a pretendere di vedere i contenuti pregiati che sono progressivamente scomparsi dall'offerta in chiaro e che, al tempo stesso, si sono affermati come prodotti "must have" sotto il profilo sociale e di status senza pagare (la pirateria satellitare contava in Italia più di 2 milioni di adepti, tra il '98 e il 2002; ma anche il download illegale di contenuti protetti da copyright è diventato un fenomeno di massa). Dall'altra parte, i titolari del diritto hanno preso a difendersi in tutti i modi: intentando cause (con alterne fortune), investendo su nuovi sistemi di gestione dell'offerta digitale (i cosi detti sistemi di DRM, Digital Rights Management), aderendo a nuovi modelli di distribuzione di tipo pay light (I tunes, ma anche la pay per view con carta prepagata). La tecnologia digitale insomma ha facilitato/forzato la libera circolazione del prodotto e la sua replicabilità, e cosi ha costretto gli autori, i titolari dei diritti e gli spettatori, a trovare nuove forme di relazione; e i regolatori a stabilire ulteriori confini e a fissare nuovi criteri di comportamento.

Un discorso analogo vale per la filiera dell'accesso , che si articola lungo il vettore: content provider -> access provider -> telespettatore/consumatore.

La digitalizzazione ha favorito una pronunciata polarizzazione degli interessi in gioco: i content provider vogliono sempre più governare il processo distributivo, per raggiungere gli spettatori target, attraverso i canali ritenuti più efficaci ed efficienti. Il diritto di sfruttamento economico del prodotto è loro, cosi come il relativo rischio di impresa, e dunque essi ritengono di poter legittimamente definire le strategie di diffusione, anche in modo mirato e selettivo. Allo stesso modo, ritengono che sia iniquo qualsiasi ostacolo alla propria strategia distributiva, tanto da invocare, almeno in certi casi, il diritto ad essere "trasportati" anche da chi non ne ha né intenzione né interesse (è il cosiddetto "must carry", che le autorità hanno talvolta imposto a gestori di infrastrutture distributive con forte rilevanza locale, quasi monopolistica, perché trasportassero contenuti ritenuti di utilità collettiva).

I controllori delle infrastrutture distributive - access providers - vogliono raggiungere il proprio cliente con la propria tecnologia, in modo esclusivo. Inoltre, vogliono offrire ai loro clienti tutti i prodotti giudicati interessanti. La concorrenza tra le diverse piattaforme è però accesa e talvolta alcune di esse riescono ad assicurarsi lo sfruttamento esclusivo di alcuni contenuti pregiati. Ecco allora che gli access providers più deboli o quelli che vogliono investire di meno invocano il diritto di distribuire il prodotto senza vincoli posti da altre piattaforme e, in certi casi, addirittura senza pagare al titolare un corrispettivo se non una quota variabile dei ricavi generati. E' il cosiddetto "must offer", che le autorità sono invitate talvolta ad imporre ai content providers affinché non privino piattaforme più deboli o emergenti del contenuto trainante. La contrapposizione di interessi è chiara, così come è evidente la logica che ispira i due orientamenti.

Chi difende la chiusura delle infrastrutture distributive, e dunque opera con standard proprietari che non dialogano con quegli degli altri (tipicamente, gli operatori a pagamento verticalmente integrati), invoca la libera forzosa? circolazione del prodotto che di fatto si traduce in un attacco ( o perlomeno in una eccezione) al copyright. Se ci sono tante pipelines chiuse, ciascuna delle quali raggiunge un certo segmento di utenti, tutti i contenuti devono correre lungo ciascuna di esse. Solo cosi tutti gli spettatori potranno vedere tutto. F' un modo di pensare tipico delle telecom, fisse e mobili, che ricavano i loro proventi essenzialmente da canone, voce e dati e che vedono nel contenuto TV, più che una fonte reale di business, un motivatore forte per accedere all'offerta triple play.

Chi invece difende la circolazione selettiva del prodotto ad esempio le majors o i grandi packagers invoca la totale apertura e interoperatività delle piattaforme; ma al tempo stesso reclama il diritto di scegliere i propri canali distributivi, e addirittura di gestire un proprio canale diretto, anche esclusivo, verso gli spettatori/clienti. I content providers insomma non vogliono farsi intermediare da soggetti "chiusi", e dunque forti. Mentre questi ultimi vogliono sfruttare la loro posizione di forza, ponendosi come gate keepers verso il mercato, e non accettano di farsi disintermediare dalle majors.

La tensione sulle filiere del diritto e dell'accesso coinvolge dunque alcuni dei nodi regolatori più caldi di questo tempo: il tema degli standard (chiusi, aperti, interoperabili); il tema dell'integrazione verticale; il tema dell'"obbligo a contrarre" (vs. copyright e libertà di impresa ); il tema delle posizioni dominanti e del loro abuso; il tema della separazione fra reti e contenuti; il tema dei vincoli all'entrata e soprattutto all'uscita per i clienti di servizi non interoperabili; il tema dei diritti degli spettatori (fin dove arriva la copia privata?); il tema dei reati di violazione del copyright; ecc. Peraltro gli sviluppi tecnologici e di business sono così rapidi che le regole fissate appena ieri, oggi non sono più adatte e domani rischiano di bloccare il mercato o di creare storture. Da qui le difficoltà degli strumenti normativi "di sistema" - le grandi leggi quadro, che hanno segnato la storia del comparto audiovisivo - e la spinta verso una maggiore de regolamentazione.

Da qui anche la crescente rilevanza delle azioni delle authorities (quella delle Comunicazioni e quella Antitrust su tutte), più flessibili e tempestive nel loro intervento. Senza questa qualità, per fare un esempio, il servizio di diffusione della TV mobile con tecnologia DVBH in Italia – concepito nella testa degli operatori nell'autunno del 2005, messo a punto nei primi mesi del 2006, autorizzato e normato nell'aprile del 2006 ed inaugurato nel giugno dello stesso anno – non avrebbe mai avuto luogo.