25 marzo 2007

Gentile professor Liguori,
sono Giorgia Gazzetti.
Si ricorda di me?
Le scrivo per chiederle un consiglio. Se vuole può rispondermi sul mio indirizzo email giorgiagazzetti@libero.it o sul mio blog!
Insieme ad un gruppo di volenterosi ragazzi della mia diocesi stiamo per intraprendere una emozionante avventura: una neo-nata tv locale di Frosinone MovieAt ci ha dato la possibilità di occupare un'ora settimanale della loro programmazione per parlare delle tematiche che coinvolgono la nostra città, i giovani, i fedeli toccando i più svariati ambiti, dalla cronaca ad una manifestazione di volontariato per esempio.
Chiedo a lei qualche utile consiglio (modalità, tempi, tematiche, organizzazione, struttura) per impostare la trasmissione che dovrebbe svolgersi con la partecipazione di alcuni ospiti in studio alternando servizi precedentemente realizzati: insomma un timido tentativo di emulare Matrix e Porta a Porta dando voce però alla nostra piccola comunità.
La ringrazio anticipatamente, sicura della sua disponibiltà.
Cordiali saluti
Giorgia Gazzetti

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22 marzo 2007

"50 in Camera, 200 al Senato" Svelato il dialogo tra Sircana e il trans

Il resto sul mio blog! :)

Davide Re

13 marzo 2007

Francesco Rutelli in "Pliz, visit Itali"


Il Ministro Rutelli promuove sul Web l'immagine del Belpaese. Ecco il backstage del suo accorato video-appello, rivolto ai potenziali turisti di tutto il mondo.

Scheda fenomeni politici prof. Fara

IL “GORGIA” DI PLATONE

Il Gorgia di Platone è un testo scritto in forma di dialogo ambientato intorno alla fine del V secolo a.C. Protagonisti del dibattito sono da una parte Gorgia, Polo e Callicle , che rappresentano la retorica e tentano invano di giustificare la loro “arte”, dall’altra Socrate e l’amico Cherofonte che difendono con determinazione la filosofia. Superficiale sarebbe considerare il Gorgia uno scritto che contrappone semplicemente la retorica - considerata manipolazione della realtà e dunque pura apparenza e inganno - alla filosofia, unica scienza in grado di salvare la politica ateniese dalla catastrofe. Il dialogo scritto da Platone rappresenta infatti la base di quella costruzione dell’ottimo Stato che sarà presentata in maniera più precisa nella Repubblica: tema di fondo è infatti la “giusta” politica ovvero la visione della politica in dimensione filosofica.
Bene e male, giustizia e ingiustizia, vera e falsa politica, felicità e infelicità sono tutti argomenti affrontati in chiave nuova, rivoluzionaria rispetto al periodo in cui vengono esposte da Platone.
L’epoca dei grandi uomini politici ateniesi era passata e Platone non si tira in dietro nell’esprimere la sua critica al sistema ormai estraneo alla concezione di giustizia che dovrebbe governare ogni azione umana, a maggior ragione quella dei politici, e lo fa attraverso la bocca di Socrate che al termine del dibattito dice: “io credo di essere tra quei pochi ateniesi, per non dire il solo, che tenti la vera arte politica, e il solo tra i contemporanei che la eserciti”.
Giustizia e ingiustizia sono termini che ricorrono costantemente nel dialogo: Platone vuole dimostrare l’assurdità di una vita individuale e politica che pretenda di fare a meno della giustizia. L’ingiustizia viene considerata il peggiore dei mali tanto che viene affermato che rendersi colpevoli di ingiustizie sia peggio che subirne, inoltre scontare la pena aiuta a liberarsi dall’ingiustizia commessa.
C’è una sostanziale differenza tra la concezione politica di Platone e quella dell’uomo di oggi che può essere sintetizzata nell’opposizione tra l’idealismo politico platonico e il realismo politico contemporaneo. La concezione politica di Platone, e in sostanza la concezione greca dello Stato, è una visione che vede la legge dello stato come fonte di ogni norma di vita e dunque la sovranità interviene in ogni ambito della vita pubblica e privata. La nostra concezione politica al contrario non pretende di avere per sé tutto l’individuo perché ci sono spazi privati del cittadino in cui lo Stato non ha diritto ad intervenire.
Ci sono dunque delle differenze ma nonostante queste le questioni affrontate nel Gorgia sembrano essere di estrema attualità: prima fra tutte la concezione di giustizia. Platone afferma infatti che il vero politico persegue il bene muovendosi nell’ottica del giusto e il suo compito principale è migliorare il cittadino e insegnare a tutta la cittadinanza a vivere secondo giustizia. Un insegnamento che forse oggi sarebbe davvero utile. Inoltre anche la critica che viene fatta ai politici ateniesi può essere attualizzata considerato il fatto che oggi, come ieri, la classe politica utilizza gli strumenti della retorica per convincere i propri elettori che le azioni poste in essere siano le più corrette possibili. Una forma di persuasione diventata ancora più potente grazie ai mass media che permettono alla classe dirigente di raggiungere più persone in momenti diversi.

Marta Nicoletti

12 marzo 2007

Scheda per il corso del Prof. Fara

MONTESQUIEU
(1689-1755)


Con Montesquieu l’indagine sulla politica abbandona il naturalismo di Machiavelli.
Nel teorico francese della “moderazione” emerge con forza la consistenza positiva delle tecniche istituzionali attraverso le quali è possibile regolare il funzionamento del potere.
Le tecniche con le quali egli si misura non sono più le arti con cui il principe virtuoso conquista il potere e fonda i nuovi organismi politici. In Montesquieu la componente tecnica della politica suggerisce di precisare i canali istituzionali attraverso i quali garantire le “formalità necessarie” per un prevedibile andamento della macchina decisionale. Non la conquista del potere, dunque, ma il suo funzionamento regolare sono la sua preoccupazione principale. Da qui l’esigenza di fissare procedure e limiti all’esercizio del potere perché nessuna autorità può basare sulla paura l’obbligo politico di ciascuno.
Al centro dell’attenzione di Montesquieu sale perciò il tema nuovo della delimitazione dei poteri e della loro separazione. Il filosofo francese pubblica così, nel 1748, la sua opera più importante e monumentale “Lo spirito delle leggi”, frutto di quattordici anni di lavoro. L’opera venne attaccata da gesuiti e giansenisti e messa all’indice (Indice dei libri proibiti) nel 1751, dopo il giudizio negativo della Sorbona. E’ nel libro XI de “Lo spirito delle leggi” che Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che “il potere assoluto corrompe assolutamente”, l’autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni stato: il potere legislativo, che spetta al parlamento; il potere esecutivo, affidato al governo e il potere giudiziario, assegnato alla magistratura.
La tesi fondamentale – secondo Montesquieu – è che può dirsi libera solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per contrastare tale abuso bisogna far sì che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia. La riunione di questi tre poteri annullerebbe la libertà. L’argomento della libertà è fondamentale per Montesquieu, però questa parola è spesso confusa con altri concetti come quello di indipendenza. Nella democrazia sembra che il popolo possa fare quello che vuole, il potere del popolo è confuso così con la libertà del popolo. La libertà è invece il diritto di fare ciò che le leggi permettono.
Montesquieu, inoltre, cercò di dimostrare come, sotto la diversità degli eventi, la storia abbia un ordine e manifesti l’azione di leggi costanti. Le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario, ma sono costantemente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi e dalla loro religione. Al pari di ogni essere vivente anche gli uomini, e quindi le società, sono sottoposte a regole fondamentali che scaturiscono dall’intreccio stesso delle cose. Queste regole non debbono considerarsi assolute, cioè indipendenti dallo spazio e dal tempo; esse al contrario, variano col mutare delle situazioni, come le diverse specie di società e i vari tipi di governo degli uomini. Questi ultimi per Montesquieu sono tre: la repubblica, la monarchia e il dispotismo. La più alta espressione di libertà per Montesquieu sta nella monarchia costituzionale in cui il filosofo vede contemporaneamente sia le caratteristiche positive del regime monarchico assoluto sia di quello repubblicano.


ELEONORA LIMITI

06 marzo 2007

E' troppo sfizioso! Dovete vederlo tutti...




SUPERKEKO

05 marzo 2007

Scheda su Machiavelli per corso Prof. Fara

NICCOLO’ MACHIAVELLI

Il pensiero di Niccolò Machiavelli si colloca in un contesto storico nel quale la crisi degli assetti politici tradizionali chiedeva di ridefinire la politica e rimotivare l’agire pubblico. L’età in cui visse Machiavelli rappresentò un momento di transizione in cui i concetti medievali universali dell’Impero e della Chiesa si andavano lentamente dissolvendo. Con questa situazione storica alle spalle, Machiavelli diede al pensiero laico piena consapevolezza, supportato dalla nascita della politica come scienza. La politica, ergendosi a scienza, diventava pienamente autonoma dalla religione, dalla morale e dalla teologia. La nuova disciplina, per Machiavelli, doveva quindi prefiggersi lo studio dell’arte di governo estraniandola da ogni remora religiosa o morale.
L’etica tradizionale con i suoi requisiti risulta spesso inattuabile e inefficace nella pratica. La lealtà e l’integrità, infatti, non dicono nulla sulla reale capacità di gestione del politico, si tratta di qualità che allo statista “gran simulatore” è necessario “parere di averle”, ma che non possono certo orientare i concreti svolgimenti della politica. Guadagnare il consenso è la prerogativa principale per chi fa politica e anela al potere; per questo diventa essenziale l’apparire. Tutti gli sforzi degli uomini politici sono in vista del consenso raggiungibile attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica. Così Machiavelli ci introduce alla società della comunicazione, tempio dell’apparire, e all’arte della persuasione, doti al limite della moralità. La fama costruita e artefatta di un personaggio pubblico diventa un efficace strumento di persuasione. Proprio la legittimazione dei mezzi in vista del fine ha da sempre contrassegnato il pensiero di Machiavelli. Il mancato riferimento a valori etici nel trattato “Il Principe” ha portato erroneamente a ricondurre tutta la filosofia di Machiavelli al principio “il fine giustifica i mezzi”, principio tuttavia non formulato dal fiorentino, il quale orientava le sue simpatie verso la virtù e la prudenza nella vita civile e politica. Il “Principe” è un teorema politico in quanto ricerca e delinea le qualità necessarie per governare. Nello stabilire le regole di governo Machiavelli mostra l’assoluta impoliticità della vecchia etica. La virtù politica non è confondibile con la moralità e il vizio non è necessariamente riconducibile all’immoralità. Ed ecco che Machiavelli svela il carattere umano di una politica feroce assieme all’inefficacia di un’attività ispirata ai canoni della lealtà. In questo sta la legittimazione dei mezzi e delle capacità persuasive. Esistono vizi moralmente discutibili che, tuttavia, assicurano la conservazione dello Stato. Il grande problema di Machiavelli è quello di costruire ordinamenti in grado di pacificare le relazioni tra i soggetti e frenare le passioni individuali. Lo Stato si configura così come l’unica istituzione attraverso la quale superare la corruzione e salvaguardare la sicurezza comune. Non è il fine in quanto tale a giustificare il mezzo cui fare ricorso ma la presenza o meno di ordini politici. La difesa della libertà è al centro della dottrina di Machiavelli che pone le basi del liberalismo moderno e del contrattualismo che considera lo Stato frutto di una convenzione tra gli individui e della coincidenza dell’interesse privato con quello pubblico. Con Machiavelli, inoltre, si parla di “patria”, concetto liberale e moderno che sopraggiunge a quello medievale di “sudditanza”. L’uomo moderno è ormai libero, emancipato dal soprannaturale, è un uomo che proclama la sua autonomia e prende possesso del mondo.